domenica 30 dicembre 2007

impara a

seguo ciò che accade come un segugio e mi lascio cullare come la testa del gatto
segue il balenare del grano.
non freno non migro resto e sento che intorno si fa giorno.
la mia crudeltà si sveglia e sbadiglia, riflette sorseggia il tè e fa parte anche lei di quello che accade
la mia isola vive a migliaia di chilometri da terre e chiavi e vorrebbe solo sole.
banalità non nel dormire, leggere e lasciare cadere sul dorso mie letturine.
qui che non ho scelto ma dedico tempo al tempo e aspetto
qui che comando e mando aereoplani di ombre a catturare i grandi
tiriamo la corda giriamo intorno ferite al collo stanchezza di fondo
mi basta sedere aprire ascoltare
ma siamo avventati superstiti invano

domenica 23 dicembre 2007

vita di frulla

ai fianchi della sorella della designata, a mio avviso, a vivere una meravigliosa vita con gilla, frulla, nilla, non le ho dato un nome, per non affezionarmici troppo.
ebbene, la sorella ha una bambina piccola, giustamente ha paura delle malattie.
anche io ho paura delle malattie. incoscientemente sono scesa senza giaccone a carezzare nilla in garage - dove l'hanno segregata - e a farle un servizio fotografico col cellulare per sponsorizzarla.
Nilla, contro il logorio della vita moderna
Frulla, e lavi più bianco
Grulla, the life is now

qualcuno ha già detto "ma farà la pipì dappertutto!!!!!!!!!!!!"
fuck your muppetts

venceslao

mi toccherà lavorare ai fianchi.
si è fermato all'improvviso appena usciti dal casello. qualche problema alle ruote? rientrando mi ha depositato sulla pancia un altro tipo interessante, femmina per di più. nera, naturalmente, calda, tremante ma piena di fusa romorosissime. e io non ci posso fare proprio niente. torno la bambinetta che si nascondeva nel magazzino del fattore per carezzare il cagnolino alla catena destinato a diventare il cerbero con la bava alla bocca in difesa delle galline.
io gli parlavo, gli portavo qualche cosa da mangiare, lo allevavo a una vita futura da gentledog, ma durava giusto i giorni della vacanza in campagna, poi di filato a casa (massimo il pesciolino rosso venceslao vinto con le palline bianche al luna park).

mercoledì 19 dicembre 2007

girotondo

oggi vado a vedere in faccia manuli.
il suo girotondo si poteva fare, ma poi si è fermato. non per colpa sua pare. gliene dirò quattro.
è che il sole sulle pagine è qualcosa di divino e mi sposto di sedile in sedile per prenderlo tutto.
ieri abbiamo preso il divano. yucca, color corda e un bal tasso d'interesse di peluche che è piaciuto tanto a chi so io.

ieri nella stradina a san basilio c'era una macchina appartata. il carrozziere saluta con il gomito (mano sporca)
e chi ha la faccia sporca, o la coscienza sporca, non saluta affatto.
cantando da dentro la macchina vedevo le facce parlanti, cantavo con la radio e aspettavo.
aspettare non è male, non è male per niente quando hai la testa libera e sei qui adesso.

il libro si è fermato. c'è l'appartamento in cui entra bianca e cerca qualcosa che la possa aiutare a ritrovare lei. ma cosa? cosa trova? ci penserò stanotte, anzi no, la notte dormo dormo accucciata come un ghiro e mi piace respirare la schiena e posare
ri-posare

martedì 18 dicembre 2007

bagno allagato

succede anche questo.
succede che il mio panettiere tatuato mi lascia sempre da parte il panino coi semi di girasole e mi dice buon lavoro (e nessuno pensi male).
succede che il ragazzo indiano con la chitarra piena di batuffoli colorati e piume da apache non vuole i miei soldi ma solo un sorriso.
succede che la signora del pollo alla cacciatora mi accompagni per un tour turistico nel nuovo quartiere.
succede che il cane giallo stralunato mi saluti per strada.
succede che mi si scambi per la sorella di qualcuno ma il mio cognome finisce per a non per i. niente pacco doni.
succede che maria al telefono mi dia indirizzo mail per inviare tutto e mi risponda che tutto è arrivato. bon travail.
succede che prima una rgazzina mi guardi, mi sorrida e poi mi chieda a quale fermata deve scendere. non lo dimentico

sun again

ci, mi, gli è venuta una grande idea su cosa scrivere. senza paura di quello che può accadere.
cioé qualsiasi cosa accadrà quello che si scrive è per l'essenza non per ciò che veramente, se mai di vero si può parlare, si avvererà.
già ci avevo pensato che ora più che mai (e perché?) avrei potuto scrivere, e non solo questo. ho un libro che forse c'è forse non c'è, vorrei imparare a suonare la chitarra, scrivere una canzone, temo che la mia indolenza mi farà quasi rinunciare subito, ma, stavolta non mollo.
fatte un po' di foto, sì le metterò, quando avrò internet a casa, ora scrivo dal lavoro...già dal lavoro.

ieri sera c'era la premiazione di un concorso di corti ed era tutto molto triste. davvero, non solo perché non c'era nessun regalo per me:+) era indiscutibilmente triste.

gabriella ferri, ne parlava mia madre. suonava le corde con il cuore, mi è piaciuta ma era troppo, troppa paura, che rimane solo a noi qualcosa di belo, e a lei? perché a lei non è toccato nulla?
come a clara, i suoi disegni scioccamente malintesi in iperfemministi, non capiti, dolorosi, e lei muore per tutta la sua vita, non perché barney non è arrivato in tempo alla cena.
comunque c'entriamo sempre, nn ci sono scuse in grado di scagionarci.
io per esempio sono sempre colpevole

lunedì 17 dicembre 2007

back to classics

eppure tutte le cose intorno si muovono così armoniosamante.
ieri l'idea del guardrail non mi sapventava affatto. ho estrema fiducia nel tempo, nelle cose. vorrei essere meno pigra, chiamare e parlare ma il rischio è di dire cose già fatte e dette.
quello che leggo a volte mi sembra perfetto, altre troppo veloce paragonato alla realtà, così il cinema, così - no - non la pittura ch non si dilata, non si snoda, contiene tutto in se stessa come una gemma.
forse dovrei tornare ai classici.

stamattina mi sono fatta un film, durano tanto nella mia mente, almeno il tragitto dell'autobus. si perde tra le righe del libro, tar le voci che ancora echeggiano nella mente di quello che è staato detto, tra il fruscio delle buste delle persone, lo stantuffo del motore.

il mio corpo c'è di più adesso. in gioventù non aveva una sua esistenza reale, ma solo immagniaria. mi sembra di sapere bene quanto corrano i giorni, le ore, i minuti e tutto si scrive su questa pelle e dentro.
sono paurosetta e immaginifica, miracolosa come mi ha detto g.
lo sono perché questo ha a che vedere con quello che vorremmo essere e le paure che passano su nervi e sangue tirano via qualcosa dalla pagina.

miracolosa che sente l'aria e si communove al sole, al colore di una foglia e cerca di ricordarla.

ma che freddo fa

non so se sono sempre stata così freddolosa. certo, ho poca resistenza. e per me, la montagna - per quel poco ma pur sempre significativo sforzo di avvicinamento che ho fatto - significa freddo e fatica. Sì anche bellezza, ma nulla - dalla mia esperienza - mi allontana dall'idea di una cosa dura da conquistare. e si sa che nulla a questo mondo di ciò che veramente conta si raggiunge schioccando le dita. anche se forse semplicità e naturalezza (quindi sorta di nonchalance nell'agire) accompagnano le cose che vanno come una barca con il vento a favore.
che complicazione. in to the wild, dal libro nelle terre estreme di krakauer parla di questo.
tutto quello ce un uomo può fare per arrivare all'osso della vita non può non avere a che fare con la condivisione, con l'altro. l'estraneamento totale, il guardarsi riflesso un un fiume di montagna circondati solo da terra e arbusti e animali selvatici non lascia respiro. è troppo per noi.

a volte mi pare di sentirla quella sensazione quando sono qui e tento di scrivere. il muro è la pagina e invece dovrebbe essere un volto se non la sua bellezza mistica di spazio apparentemente incontaminato scompare o è come se non fosse mai esistita.

la pagina è per me un bosco, un oceano, il deserto, il mutismo di un arbusto e vorrei poterci mangiare, dormire, piangere e ridere e invece la sua sterilità mi spaventa.

venerdì 14 dicembre 2007

eccolo, lo sapevo

non è stata una grande giornata. lo sapevo che prima poi doveva arrivare. sono i pianeti che girano, il fatto che siamo diversi, che l'armonia è difficile da mantenere. e ieri ero stanchissima e molto nera. nero da non vedere in faccia i volti, non più. e il modno allo stesso tempo mi sembra bello nelle persone, orrendo in quello che accade. ieri sera da santoro a anno zero c'era un ragazzo che avrebbe dovuto fare il ministro del lavoro e invece se ne stava lì a scampare a una tragedia in fabbrica a torino, con ferite in fronte e giuste idee in testa. con parole di pietra e verità innegabili su lavoro e flessibilità.
continuo a lavorare su questo, a scoprire quante belle parole si teorizzano e si scrivono nei documenti sulla flexicurity (flessibilità e sicurezza) a livello europeo (roba che damianoha esultato il 5 dicembre al consiglio dei ministri europei del lavoro).
eppure, la verità è che non esiste rapporto lavoro-qualità, il contratto a tempo indeterminato che dovrebbe essere il contratto base dell'UE è un'utopia. gli altri non sono transizioni, ma paludi a tempo determianto o a progetto.

ma questo è il minimo.
stamattina un vecchietto am non troppo con una stampella è sceso dall'autobus. doveva tornare indietro alla fermata opposta lontana un centinaio di emtri ma lui camminava come una lumaca. io sono rimasta lì e sono andata via. lui avrebeb continuato a lavorare lentissimamente.

essere amati, amare, cosa vogliamo. la coincidenza di necessità, interessi, passioni è così difficile.
eppure ci sono cose che ci sovrastano come onde immense e noi restiamo lì a farci trascinare, accogliendo il naufragio.

tutto funziona a volte come un campo di grano ben curato, ben arato, ben nutrito. poi qualcosa stride improvvisamente, e io - ad esempio - che sono una perfezionista della vita (non di quello che c'è dentro) non ci sto. che sciempiaggine. vorrei sentirmi libera, liberissima, mais l'homme partout est dans le fers

giovedì 13 dicembre 2007

questa mattina mi sono svegliata con il sole in corpo. il cielo limpido e il calore di casa, la strada bagnata e il gelo sul viso. plinio sul balcone, dopo una notte avvoltolato a noi, che altro, la versione di barney continua e una canzone semplice it's too late to apologize che non usciva più dalla testa.
ora che si è fatto più scuro, che le ombre cominciano a scendere tengo in vita il ricordo di queste ore mattutine, quella cosa che so solo io e cerco di capire e vivere come l'acqua sul viso.
ieri l'età barbarica al mignon. essendoci andatai con tutti gli auspici peggiori, il riso amarissimo ei arcand è stato piacevole da ritrovare, leggero ma piacevole. adoro andare al cinema. prepararmi, camminare verso il cinema con l'insegna, aspettare fuori e guardare i cartelloni, spiare sottecchi la gente che ci viene. mi piace quando la sala è piena e quando è mezza vuota. vorrei capire perché sono lì io e loro. e il film si riversa in liquido tra le poltrone, mi stringo a g. mi distraggo sempre, sono molto esigente, se sento, sono anche capace di piangere.
non come qualcuna che conosco che le piacciono i film solo se le piacciono le persone con cui ci va....e non faccio nomi:+)))

ci sono degli artisti autentici o forse tutti i veri artisti lo sono. e devono fare molta attenzione a non inquinarsi, cosa molto facile, credo.
o almeno che si inquinino saggiamente. non ho miti, mi piacciono pezzi del mondo, pezzi di film, pezzi delle canzoni, pezzi di torta, pezzi delle persone (non le persone fatte a pezzi però).

a volte ho paura di quello che non riesco a fare, vorrei fare di più, fare meglio.

mercoledì 12 dicembre 2007

dada-re

battono, battono, battono. stanno distruggendo un palazzo o quasi, ed è come se mi stessero rodendo la testa. la mattina è sempre meravigliosa, anche perché il clima in questa città è magico. No, così non va, smebra che non sia mia, che non è di nessuno poi.
Comunque la mattina, un po' tarda per quanto mi riguarda, salto sull'autobus godendomi tutto. la luce infernale sui vetri, il verde smetraldo delle fronde sopravvissute, il celeste sbiancato, ma tutto ha un'aria nuova, nuovamente nuova.
le persone, persone straniere, giovani universitari, badanti, anziani, io siamo tutti tondi in viso o lo crediamo. amo leggere e ascoltare la musica, anzi o l'uno o l'altro. insieme ho deciso di no, perchè non mi concentro più, come una volta.
starmene sull'ultimo sedile, in fondo quelli un po' rialzati così da avere la vsuale totale e affondare in zoomate vesro destra o verso sinsitra (soprattutto in caso di salita rapida del controllore).
mi piacciono i musicisti che salgono e suonano. a volte non capisco perché lo fanno.
a uno al quale ho dato 40 centesimi mi ha detto che potevano essere porta fortuna, cioé suonava per piacere. ed era bravo. e non era italiano.
dio come mi sento marginale in questo senso. loro sono al centro dell'universo. piccole vite lunghissime, quelli anziani soprattutto, che mi chiedo cosa metterò io nella mia vita, se questi ci hanno già messo tutto. amore, lavoro, figli, malattie, dolori, incidenti, sveglie presto, viaggi, macchine, case, libri.
cosa ho da dare?

caspita

oggi, forse, ci sarà il primo visitatore di questo blog.
difficile dire chi sia. comunque è forse bene ricordre che le sue paure sono le mie paure, i suoi desideri sono i miei desideri, ma anche le sue forze sono le mie forze.
credo, caro visitatore, che dobbiamo essere un po' più coraggiosi, parlo per me,a lmeno.
non c'è tempo di fermarsi e schermarsi con le proprie paure paralizzatrici. ci sono, le assumo, quotidianamente, e ogni notte un poco con gli incubi. Ma la terra gira, il giorno si fa notte e la vita prende il sopravvento e io prendo il sopravvento.
un po' posso decidere, un po' devo farlo. c'è tanto di bello tanto di brutto, e una cosa forse è anche l'altra. andiamo avanti concentrandoci sulle piccole cose e non perdendo il senso del tutto, saliamo in cima a una montagna (cosa che non faccio quasi mai) e rimiriamo il panorama nel suo insieme. La natura è spaventosamente forte, più di noi, ma noi pensiamo e guardiamo, e immaginiamo.
immaginiamo e soffriamo, ma quando eravamo piccoli, sognavamo e ridevamo.
a te,

me, ulrich and everyone we know

Secondo il sociologo tedesco, lo Stato nazione e il multiculturalismo sono ideologie ormai al tramonto
Sette tesi contro l'uomo globale
Perché lo strapotere capitalista può essere sconfitto dal «cosmopolitismo»



Secondo il sociologo tedesco, lo Stato nazione e il multiculturalismo sono ideologie ormai al tramonto
Sette tesi contro l'uomo globale
Perché lo strapotere capitalista può essere sconfitto dal «cosmopolitismo»
diULRICH BECK La prospettiva nazionalistica - che equipara la società con i cittadini della nazione stato - ci rende ciechi davanti al mondo in cui viviamo. Per poter afferrare la correlazione tra popoli e popolazioni di tutto il globo, occorre innanzitutto una prospettiva cosmopolita. Il comun denominatore del nostro pianeta così densamente popolato è la "cosmopolitizzazione", che sta a indicare l'erosione dei confini che si frappongono tra mercati, stati, civiltà, culture e non da ultimo tra le esperienze di vita dei vari popoli. Il mondo non ha perduto certamente le sue frontiere, ma questi tracciati si fanno sempre più sfocati e indistinti, e diventano permeabili al flusso di informazioni e capitali. Un po' meno quando si tratta del flusso delle persone: i turisti sono ammessi, gli immigrati no.
Immigrati e cosmopolitismo: una immagine di scuole francesi (Reuters)Nei vari ambiti di vita e di istituzioni a livello nazionale e locale si verifica un processo di globalizzazione interna, che va ad alterare le condizioni che consentono la costruzione dell'identità sociale, non più caratterizzata dalla dicotomia negativa del "noi" e "loro". A mio avviso, è importante che la cosmopolitizzazione non avvenga in qualche dimensione astratta o generica, al di sopra della testa delle persone, ma che prenda corpo nella vita di tutti i giorni degli individui ("cosmopolitizzazione quotidiana"). Lo stesso vale per le operazioni interne della politica, ormai globali a tutti i livelli e persino nel campo della politica nazionale, proprio perché devono tener conto della dimensione globale delle interdipendenze reciproche, dei flussi, delle reti, delle minacce e via dicendo ("politica interna globale"). Dobbiamo chiederci, per esempio: come si modifica la nostra comprensione del potere e del controllo in un'ottica cosmopolita? Per rispondere a questa domanda, vorrei proporre sette tesi. La globalizzazione è una forma di controllo anonimo. PRIMA TESI - Nel rapporto tra economia globale e stato si va delineando un meta gioco di forze, una vera lotta nel cui contesto si riscrivono le regole attinenti al potere nel sistema di stati nazionali e internazionali. L'economia in particolare ha sviluppato una sorta di meta potere, sottraendosi ai rapporti organizzati in termini di territori e nazione stato, per conquistare nuovi meccanismi di intervento nello spazio digitale. Il termine "meta gioco di potere" significa che si combatte per il potere e al tempo stesso si alterano le regole della politica mondiale, abbandonando lo stretto orientamento finora in vigore, focalizzato sulla nazione stato. Se ci si chiede qual è la fonte del meta potere delle strategie del capitale ci si imbatte in una circostanza straordinaria. L'idea di base era stata formulata nel titolo di un giornale dell'Europa dell'est, in occasione della visita nel 1999 del cancelliere tedesco, in questi termini: "Vi perdoniamo per le Crociate e aspettiamo i vostri investimenti". E' il preciso rovesciamento del calcolo delle teorie classiche sul potere e sul controllo ad accrescere il potere delle imprese transnazionali: il mezzo di coercizione non è la minaccia di invasione, bensì la minaccia di non invasione da parte degli investitori, oppure la loro partenza. Come a dire, c'è solo una cosa peggiore di essere sommersi dalle multinazionali, e cioè quella di non esserlo.
Ricerca scientifica (Ap)Questa forma di controllo non è più associata all'espletamento degli ordini, bensì alla possibilità di realizzare investimenti più redditizi in altri paesi, e alla minaccia velata introdotta da queste opportunità, vale a dire la minaccia di non fare nulla, di rifiutarsi di investire in un determinato paese. Il nuovo potere delle imprese non si basa sull'uso della violenza come ultima ratio per costringere gli altri ad adeguarsi alla propria volontà. E' molto più flessibile, perché in grado di operare indipendentemente dalla località, e pertanto globalmente. Non parliamo di imperialismo, ma di non-imperialismo: non invasione, ma ritiro degli investimenti, questo è il nocciolo del potere economico globale. Un potere economico disgiunto dal territorio, che non esige né attuazione né legittimazione politica. Nell'insediarsi, riesce a scansare le istituzioni delle democrazie evolute, tra cui parlamento e magistratura. Il meta potere non è né legale né legittimo: è "translegale". Eppure interviene ad alterare le regole dei sistemi di potere sia nazionali che internazionali. L'analogia tra la logistica militare del potere dello stato e la logica del potere economico è davvero sorprendente. Il volume del capitale di investimento corrisponde al potere di fuoco dell'arsenale militare, seppur con la fondamentale distinzione che in questo caso il potere si accresce con la minaccia di non fare fuoco. Lo sviluppo dei prodotti è l'equivalente dell'aggiornamento dei sistemi di armamento. L'insediamento delle filiali di grandi multinazionali in molti paesi si sostituisce alle basi militari e al corpo diplomatico.
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La vecchia regola militare che l'offesa è la miglior difesa oggi si traduce in: lo stato deve investire in ricerca e sviluppo per saper reagire all'offensiva globale del potere del capitale. Quanti più fondi sono assegnati alla ricerca e all'istruzione, tanto più forte sarà la voce di quello stato nell'arena della politica mondiale (o almeno così si spera). Il potere della minaccia di non-investimento oggi si avverte quasi ovunque. La globalizzazione non è una scelta: è un potere anonimo. Nessuno l'ha avviata, nessuno può fermarla, nessuno se ne accolla la responsabilità. La parola "globalizzazione" sta difatti a significare l'assenza organizzata della responsabilità. Si cerca qualcuno a cui rivolgersi, per presentare un reclamo, per esporre le proprie ragioni. Ma non esiste una struttura da interpellare, nessun numero di telefono, nessun indirizzo e-mail. Tutti si sentono vittima, nessuno colpevole. Persino i presidenti delle multinazionali (questi "principi moderni" di stampo machiavellico), che amano farsi corteggiare, devono per definizione sacrificare pensiero e comportamento sull'altare degli azionisti, se ci tengono a conservare la poltrona. Una nuova prospettiva per un nuovo approccio. SECONDA TESI - L'ironia insita nella teoria di questo meta potere vuole che le occasioni di azione tra i co-protagonisti siano già inserite nel gioco. Esse dipendono essenzialmente da come gli attori definiscono e ridefiniscono la politica, e queste definizioni sono i prerequisiti del successo. Solo una critica decisa dell'ortodossia della nazione stato, accompagnata dall'emergere di nuove categorie orientate alla prospettiva cosmopolita, sarà in grado di spalancare nuove opportunità di potere. Chiunque aderisca ancora al vecchio dogmatismo nazionale (al feticcio della sovranità, per esempio, e alla politica unilaterale che ne deriva) verrà travolto e sorpassato. Sono precisamente i costi che gli stati si sobbarcano come conseguenza della loro fedeltà alle vecchie regole della nazione stato sui rapporti di potere, che obbligano al passaggio a un punto di vista cosmopolita. In altre parole: il nazionalismo - la rigida aderenza alla posizione che i meta giochi di potere nella politica mondiale sono e devono restare nel campo nazionale - si rivela estremamente costoso. Questa è stata la recente lezione impartita in Iraq a una potenza mondiale come gli Stati Uniti. La confusione tra politica nazionale e globale altera la prospettiva, e allo stesso tempo ostacola ogni riconoscimento e comprensione delle nuove caratteristiche dei rapporti e delle risorse di potere. Questo significa rinunciare a sfruttare l'occasione per trasformare le regole dei vincenti-perdenti e perdenti-perdenti del meta gioco di potere nelle regole dei vincenti-vincenti, dalle quali lo stato, la società civile globale e il capitale possono approfittare simultaneamente. Si tratta di rovesciare l'idea fondamentale di Marx: non è l'essere che determina la consapevolezza, bensì la consapevolezza che sfrutta al massimo le nuove possibilità di azione (la prospettiva cosmopolita) da parte degli attori coinvolti nei rapporti di potere politico a livello globale. Esiste una via maestra alla trasformazione della propria situazione di potere. Ma prima occorre cambiare la nostra prospettiva sul mondo: sarà una visione scettica e realistica, ma pur sempre una visione cosmopolita! Solo al capitale è consentito contravvenire alle regole.
Un ritratto di Karl MarxTERZA TESI - Per ironia della storia, la visione del mondo screditata dal collasso del comunismo in Europa è stata oggi adottata dai vincitori della Guerra fredda. I neoliberali hanno elevato le debolezze del pensiero marxista a fede incrollabile, in particolare la sua cocciuta sottovalutazione dei movimenti nazionalistici e religiosi, come pure il suo modello storico lineare e unidimensionale. Dall'altro lato, invece, hanno chiuso gli occhi davanti all'intuizione marxista secondo la quale il capitalismo libera forze anarchiche e autodistruttrici. Resta un mistero perché i neoliberali siano tanto convinti che le cose possano evolvere diversamente nel ventunesimo secolo. Ad ogni modo, le varie minacce di catastrofi ambientali e rivoluzioni imminenti parlano oggi un linguaggio molto diverso. I principi neoliberali rappresentano un tentativo di generalizzare a partire dalle vittorie storiche di breve durata del capitale mobile. La stessa prospettiva del capitale si qualifica come assoluta e autonoma, e spinge il potere strategico e lo spazio delle possibilità delle economie classiche verso una sete di potere sub-politica e mondiale. Successivamente, quello che va bene per il capitale diventa la migliore opzione per tutti. Per dirla ironicamente, la promessa è che la massimizzazione del potere del capitale resta, in ultima analisi, la strada preferita verso il socialismo. I neoliberali, tuttavia, insistono sul seguente: nei nuovi meta rapporti di potere, il capitale ha due pezzi e dispone di due mosse. Tutti gli altri invece hanno sotto mano, come prima, un unico pezzo e una sola mossa. Il potere del nuovo liberalismo si fonda, pertanto, su una disuguaglianza radicale: non a tutti è consentito contravvenire alle regole. Infrangere o cambiare le regole resta la prerogativa rivoluzionaria del capitale. La prospettiva nazionalistica della politica cementa il potere superiore del capitale. Questa superiorità, peraltro, scaturisce essenzialmente da uno stato inadempiente, da una politica che si rinchiude nel guscio eterno delle regole tra i rapporti di potere nazionali. Chi incarna dunque il contro-potere, chi è l'antagonista del capitale globalizzato? Il contro-potere siamo noi, i consumatori. QUARTA TESI - Nella coscienza pubblica dell'Occidente, il ruolo del contro-potere al capitale, capace di infrangere le regole, non appartiene allo stato, bensì alla società civile globale e alla molteplicità dei suoi protagonisti. In breve, si potrebbe dire che il contro-potere della società civile globale si incarna nella figura del consumatore politicizzato. Non diversamente dal potere del capitale, questo contro-potere è la conseguenza del poter dire - sempre e ovunque - "no", rifiutandosi di fare un acquisto. L'arma del non acquisto non può essere delimitata, né nello spazio, né nel tempo, né in termini di un oggetto specifico. Dipende tuttavia dall'accesso al denaro da parte del consumatore, e dall'esistenza di un'eccedenza di beni e servizi disponibili tra i quali il consumatore può scegliere. Fatale per gli interessi del capitale risulta il fatto che non esiste strategia per contrastare il crescente contro-potere del consumatore. Persino alle imprese globali onnipotenti manca l'autorità di licenziare il consumatore. Perché, a differenza dei lavoratori, i consumatori non appartengono all'azienda. E anche la minaccia ricattatoria di spostare la produzione in un paese diverso, dove i consumatori sono ancora sottomessi, si rivela uno strumento del tutto inefficace. Grazie a una rete informatica e adeguatamente mobilitato, il libero consumatore, non legato a nessun marchio, può organizzarsi transnazionalmente e trasformarsi in un'arma letale. Sacrificare l'autonomia, riaffermare la sovranità. QUINTA TESI - La politica dello stato va ridefinita, a questa esigenza ormai non si sfugge. Indubbiamente, i rappresentanti e i protagonisti della società civile globale sono indispensabili ai rapporti di meta potere globale, specie per l'attuazione dei valori cosmopoliti. Voler ottenere uno spazio astratto di possibilità sulla base di politiche statali e proiettarlo nella costellazione cosmopolita, tuttavia, conduce a una gigantesca illusione. Vale a dire che le contraddizioni, le crisi e gli effetti collaterali della seconda "grande trasformazione" oggi in corso potrebbero essere civilizzati da nuovi portatori di speranza, dal coinvolgimento nella compagine della società civile, e per di più su scala vastissima. E' una linea di pensiero che appartiene invece alla galleria dei ritratti degli antenati del non politico. Se vogliamo sottrarci alla struttura del nazionalismo nel contesto della teoria e dell'azione politica, è essenziale operare una distinzione tra sovranità e autonomia. Il nazionalismo si fonda invece sull'equazione tra sovranità e autonomia. Da questo punto di vista, la dipendenza economica, la diversificazione culturale e la cooperazione militare, legale e tecnologica tra gli stati conduce automaticamente a una perdita di autonomia, e pertanto di sovranità. Se, d'altro canto, la sovranità si misura dal grado in cui uno stato è capace di risolvere i suoi problemi nazionali, allora la crescente interdipendenza e collaborazione che riscontriamo oggi - e cioè, la perdita di autonomia - conducono in realtà a un'affermazione di sovranità. Nell'ottica del cosmopolitismo, questa intuizione è cruciale: la perdita di autonomia formale e l'incremento di sovranità di contenuto potrebbero rafforzarsi a vicenda. La globalizzazione significa entrambe queste cose: un accrescimento di sovranità da parte degli attori, per esempio, in virtù del fatto che tramite la cooperazione, gli scambi e le interdipendenze essi sono in grado di acquisire una capacità di azione a grandi distanze, accedendo così a nuove opzioni - mentre il rovescio della medaglia di questi sviluppi è che interi paesi rischiano di perdere la propria autonomia. La sovranità di contenuto degli attori (collettivi e individuali) viene ribadita quanto più si riduce l'autonomia formale. In altre parole: sulla scia della globalizzazione politica assistiamo alla trasformazione dell'autonomia, in base all'esclusione nazionale, in sovranità, in virtù dell'inclusione transnazionale. Una nazione indifferente nei confronti dello stato.
Pace di Westfalia. Il dipinto di Gerard ter Borch II, "Il trattato di Munster": dal sito del Rijksmuseum di AmsterdamSESTA TESI - Una risposta politica alla globalizzazione è lo "stato cosmopolita" che si apre al mondo. Questo stato non nasce dalla dissoluzione o sostituzione dello stato nazionale, ma da una trasformazione interiore, attraverso una "globalizzazione interna". Le potenzialità legali, politiche ed economiche a livello locale e nazionale sono ristrutturate e spalancate al mondo. Questa creatura ermafrodita - uno stato allo stesso tempo cosmopolita e nazionale - non si definisce con criteri nazionalistici nei confronti degli altri paesi. Sviluppa invece una rete di scambi sulla base del reciproco riconoscimento dell'altro e dell'uguaglianza tra le diversità, al fine di risolvere le problematiche transnazionali. Il concetto di stato cosmopolita si basa sul principio dell'indifferenza della nazione nei riguardi dello stato. Ciò rende possibile la coesistenza di varie identità nazionali, in base al principio della tolleranza costituzionale all'interno del paese e dei diritti cosmopoliti all'esterno. Con il Trattato di Westfalia del 1648, la guerra civile del sedicesimo secolo, innescata da conflitti religiosi, si concluse con la separazione tra stato e credo religioso. Analogamente (questa è la mia tesi), le guerre mondiali e civili del ventesimo secolo potevano risolversi con la separazione dello stato dalla nazione. Proprio come fu uno stato non religioso a rendere possibile la pratica di diverse religioni per la prima volta, la rete di stati cosmopoliti deve garantire la coesistenza di identità nazionali ed etniche tramite il principio della tolleranza costituzionale. Così come si dovette reprimere la teologia cristiana all'inizio dell'era moderna in Europa, oggi l'azione politica deve puntare a sottomettere la teologia nazionalistica. Se questa possibilità fu del tutto esclusa alla metà del sedicesimo secolo da una prospettiva teologica, e addirittura paragonata alla fine del mondo, un cambiamento di questo genere oggi è totalmente impensabile per i "teologi del nazionalismo", poiché costituisce una rottura con il concetto fondamentale e costitutivo del sistema politico, ovvero lo schema amici-nemici. L'esempio storico di tutto questo è l'Unione Europea. Grazie all'arte politica di creare interdipendenze, i nemici di un tempo si sono trasformati in vicini affiatati. Legati gli uni agli altri dalle "catene d'oro" dei vantaggi nazionali, gli stati membri devono ribadire continuamente il riconoscimento e l'uguaglianza reciproca per mezzo del dibattito. Così facendo essi caratterizzano l'Unione Europea nel senso di una federazione cosmopolita di stati che collaborano al fine di gestire la globalizzazione economica mentre assicurano il riconoscimento della diversità dell'Altro (che sono gli altri stati membri, ma anche i partner europei a livello mondiale): questa potrebbe essere una descrizione realistica, anche se fino a un certo punto ancora utopica. La teoria e il concetto di uno stato cosmopolita devono differenziarsi da tre posizioni: dall'illusione dello stato nazionale autonomo; dalla nozione neoliberale di uno stato economico minimo e deregolato; e infine dalle lusinghe irreali di un governo globale unificato, reso invincibile dalla concentrazione di potere. Trasformare i muri in ponti! SETTIMA TESI - Da parecchio tempo non si sente parlare d'altro che di relativismo culturale, multiculturalismo, tolleranza, internazionalismo, fino a globalizzazione e globalità. Spunta quindi la seguente obiezione: il concetto di cosmopolitismo non significa semplicemente mettere vino vecchio in botti nuove? E forse non è neppure questione di botti nuove, poiché il termine è in vigore sin dall'epoca degli Stoici nell'antica Grecia, per non parlare poi di Emmanuel Kant, Hannah Arendt e Carl Jaspers? E a queste domande rispondo che la mia teoria della "prospettiva cosmopolita" descrive realtà diverse ed è strutturata diversamente. Tutte le idee già citate si basano sul presupposto di diversità, emarginazione ed estraneità dell'Altro. Il multiculturalismo, per esempio, significa che vari gruppi etnici convivono uno accanto all'altro in un singolo stato. Tolleranza significa accettazione, ma questa potrebbe essere anche di malavoglia, quando la differenza è sopportata come un peso inevitabile. La tolleranza cosmopolita invece va ben oltre. Non è difensiva né passiva, ma attiva e propositiva: significa cioè aprirsi al mondo dell'Altro, percepire le differenze come arricchimento, considerare e trattare l'Altro come nostro pari. Concettualmente, significa sostituire la logica di "o l'uno o l'altro" con la logica del "sia l'uno che l'altro". Pertanto il cosmopolitismo non conduce affatto a uniformità o appiattimento. Gli individui, i gruppi, le comunità, le organizzazioni politiche, le culture e le civiltà desiderano ribadire la loro diversità, e spesso anche unicità, che hanno ogni diritto di preservare. Ma per farlo, occorre trasformare in realtà la metafora, i ponti devono sorgere al posto dei muri. E ancor più importante, questi ponti devono spuntare non solo nella testa delle persone, nella mentalità e nell'immaginazione (la cosiddetta "visione cosmopolita"), ma anche in seno a nazioni e località (la "globalizzazione interna"), nei sistemi normativi (i diritti umani), nelle istituzioni (l'Unione Europea, per esempio), come pure nella "politica interna globale", che intenda fornire una risposta alle problematiche transnazionali (quali la politica energetica, lo sviluppo sostenibile, la lotta contro il riscaldamento del pianeta, la battaglia contro il terrorismo). Questo articolo è apparso in tedesco nel numero di novembre 2007 di Literaturen Traduzione di Rita Baldassarre

martedì 11 dicembre 2007

vero inizio

ieri è stata solo una prova.
ne ho parlato con gio, ne è uscito che non serve questa cosa, se non la faccio con un senso.
il mio senso è scrivere, ma non basta. non ho intenzione di parlare di cose che fluttuano in questo mondo, e ce ne sono tante, che non hanno tutte la stessa consistenza.
è terribile a volte come riusciamo ad affiancare in un discorso volti bruciati all'ultimo fim visto.
eppure capita, e come scusa ci metto la non soluzione di continuità.
poi, g., quando ti parlo, mi tiri fuori piccole cose semplici, che fai con uno starci dentro, o almeno mi pare uno starci dentro, disumano per me (ne senso che nella mia umanità non ci riesco a starci così dentro nelle cose).
e forse anche tu, chissà. ma possibile che non riesco a capirlo davvero?
mi piace quello che sei, a volte vorrei essere quello che sei, a volte mi sta bene così.

Compito numero uno: scrivere una scaletta, una sintesi, qualcosa, di cui ho già scritto un inizio, ma che abbia una capa e una coda.
quando sono in giro, quando guardo il cielo, quando ascolto al musica, quando vedo un volto, le sue smorfie, il movimento di una mano, sento che potrei scrivere, dipingere, cantare, girare tutto.
poi mi siedo davanti al pc e sento i miei limiti.
allora cerco di liberarmene, ma trovo delle scuse.
mordecai richter mis ta piacendo, mi diverte.
adoro quando mi fanno ridere, vorrei sempre che qualcosa, qaulcuno mi facesse ridere.
e a volte mi fermo a pensare che non ho qualcosa che mi intorcina lo stomaco, e questo è già tanto positivo. quando mi succede, se litigo o non ho quello che voglio, che magari mi fa pure bene, è tremendo. quindi quando non sto male così, devo segarmelo, e ricordarlo.
le sensazioni umane che starnezza.

lunedì 10 dicembre 2007

ok, penso che sia meglio che parli delle cose che conosco bene.
il 60 per esempio. ho incontrato tanta di quella gente favolosa lì sopra che non credo stia a pensare a tante cose alle quali ci vogliono far credere che pensiamo.
insomma, c'è chi legge e chi ti guarda negli occhi, chi guarda se c'è il controllore, chi urla al telefono, chi tiene i pacchi in mano, chi sbuffa, chi annusa, chi vuole scendere, chi vuole sedersi e chi...a domani
ok, ok, è uno scherzo. ora me ne vado, un po' devo lavorare.

vi lascio una cosa.


in mezzo a mille anni
andavo da stanza a stanza, pareti e ghiacci
nel mio lillà.
il fondo che abbiamo dentro e dove tu
ti sei disperso.
volevo solo bastoni e piante per questo
giro. tornando al tuo martirio, la fila dei detenuti,
la mia non ha datori ma solo la mia città

15:42

cavolo, ci ho preso gusto.
forse ho sbagliato a parlare di luttazzi. la mia vita non è televisione, l'ho letto sul giornale, anzi il fatto dell'ennesima cacciata me l'ha detta en passant ieri gio.
in realtà ci sono tante cose importanti di cui parlare, forleo e de magistris in primis, ma forse non ne ho le competenze.
vorrei che esistesse un mezzo di comunicazione automatico, insito nell'essere umano (nella pancia), che diffondesse solo i fatti e le loro molteplici verità, ma dovrebbe essere un mezzo di comunicazione con un gran megafono per i sordi.

mi piacciono le persone, penso sempre che abbiano il loro mondo segreto che li fa felici o li fa addolorare, e che sia tutta fortuna se non si finisce sotto una macchina o non si dice qualcosa cantando al macellaio, o alla propria madre.

sono al lavoro, e invece di lavorare sto scrivendo queste cose da niente.

sono stata alla GNAM, guttuso mi è piaciuto più che le altre volte, con quelle donne sensuali, troppo per me, e corpi lucidi di sangue e klimt con quel patchwork semplice ormai di moda e quello sculture che fa corpi di donne lunghissimi e di pece nera (giacometti?) e un quadro con sant'antonio tentato da donne nascaoste sotto un tappetino giapponese e una farfalla sopra.
farfalla psiche, farfalla tra le amni di psiche donna che la mostra a eros bambino.

vorrei essere un farfalla, vorrei essere una bellisisma donan, canta johnson 6 jonshon, no, come si chiama? non me lo ricordo più.

ieri mi ha fatto ascoltare della musica bellissima. io sono nata nel '78 e sei nata così tardi non ti dicono quello che c'è stato prima. e allora che facciamo?

15.33

inizio così. mancheranno dell virgole e dei punti. spero che non me ne voglia nessuno. forse delle maiuscole, delle doppie di sicuro (ho fatto una rima?)
questo blog o questo mario o questo scafandro o questo qualsiasi cosa sia ha inizio oggi, 10 dicembre 2007. cercherò di scrivere ogni giorno, qualcosa. spero che nessuno si offenda, spero che nessuno pensi, forse giustamente, che sia tempo perso.
scrivo a volte, quando mi sento il cuore lontano e devo richiamarlo perché se no, non si può andare avanti.

luttazzi mi è simpatico, e ha ragione. non lo dico per entrare nel vivo da subito, ma certe cose vanno dette, per sgombrare il tavolo dopo pranzo, la scena del delitto, dla cadavere.
ferrara dice cose che sono quello che vuole dire, può dire perché qualcuno vuole che lui le dica. lo pagano di sicuro per questo. mi stupisce come non si faccia uno scipero della visione. per tutto ma in particolare per un bugiardo felice come lui. è così gongolante nel suo poter dire quanto è importante la chiesa e ciò che dice (ma forse lo dice logicamente - la chiesa - non ciò che per qualcuno signficano davvero le parole religione, fede, dio ecc., ecc.
a lui interessa l'organo supremo di potere in italia, a roma. si sente così al calduccio e protetto in questo modo.
e nella vasca da bagno, si divertirà d amatti con le paperette.