lunedì 15 dicembre 2008

la bocca

La bocca la tiene socchiusa, anzi quasi aperta quando dorme. Come me. Le labbra tremano e gli occhi si muovono sotto le palpebre rosate. I primi giorni si vedevano i puntini nuovi di zecca, ipotesi di cellule attraverso la trasparenza del naso, che già a quaranta giorni ha preso consistenza.
Sono obbligata a fissarlo, a lungo. La fretta, la distrazione a cui siamo abituati ora in me deve necessariamente scomparire. Siamo legati, costretti l’uno a l’altro, pancia a pancia in un abbraccio che mi fa incurvare la schiena, circondarlo con le mie braccia e seguire con i miei i suoi occhi roteanti. A mandorla, perfetti.
La mia vita non era sincopata, ipertrofica, intasata. Ma avevo cose da fare, pensieri da rincorrere, anche con piglio rilassato, troppo rilassato a detta di alcuni. E lui me l’ha frenata. Con un breve preavviso, come un treno che rallenta in vista della stazione e non può fare altro se non vuole squarciare lo schermo.

giovedì 23 ottobre 2008

Pensavo a due ospedali come a due entità. Una buona, l’altra cattiva. Una con dentro mio padre, una con dentro mio figlio. Vicini entrambi, lungo il fiume. Io che corro lungo la strada, con i polpacci gonfi, facendo la spola da uno all’altro.
Pensavo a quello che succede quando arriva la morte, improvvisamente. Mentre ti infili le scarpe da ginnastica per andare al parco e trovi il tempo per preoccuparti di una cosa sciocca, di programmare la cena, sapere quando saremo di nuovo a casa, prevedere, possedere.
L’incertezza economica, di sopravvivenza nella vita sempre bilanciata da un amore infinito per essa, una banale passione e attaccamento a ogni suo istante, con tutto il seguito di egoismo e possessione. Ma anche lieve serenità, contrastante eppure persistente. Perché è essere incosciente, felice nell’immediato per quel che in qualche modo si è di certo costruito ma senza affaticarsi, gustando la leggerezza della fatica.
Gravidanza senza prospettive di contratto futuro, solo più o meno vane speranze. Eppure la gioia nel risveglio quotidiano in un’incoscienza purissima fatta di fiducia sconsiderata. In cosa poi? In me? Nella fortuna? Nella materialità delle cose? Perché poi? Perché amo? Perché riamata? Perché credo di avere qualcosa, come una pietra avvolta, non solo nel ventre scoperto?

Lungo questa strada, il dolore si è tramutato. Esiste, permane, riemerge a tratti più acuto. Non dimenticherò mai i giorni dall’infarto di mio padre a oggi, quelli che verranno. Quei primissimi in cui la realtà frena tutto a un tratto, la vista si dilata, i corpi e i confini si fanno nitidi e più lenti all’osservazione. Cambia tutto, come se la vita fino a qual momento fosse stata un insieme di grida confuse, varie, né belle né brutte. Con tutta l’attenzione che mi è stato insegnato di avere anche per un solo, piccolo battito d’ali. Per le voci, per le facce, per i movimenti.
Eppure, tutto ha preso un’altra direzione. Ripeto spesso che manca la paura. Delle malattie, delle cose che pure mi sarebbero potute accadere durante la gravidanza, so che non poteva accadermi niente. Il mio corpo, la mia mente tutta protesa a parare uno, e un solo immenso colpo.
Uno dei giorni successivi, non il primo né il secondo. Che i piegavo in due e avevo bisogno di camminare, parlare mi è servito come non mai. Ho ascoltato come non mai.
Ricordo le parole di Giovanni sulla panchina a villa Ada. La mia vita concentrarsi in sé, sollevarsi e serrarsi in ranghi maggiori.
L’assenza, la sparizione, la mancanza. Non esiste nulla di più terribile. Perché siamo vivi sempre e abbiamo bisogno del contatto e dell’essere. Mio padre mi era essere interiore. Lo è ancora.
Nel frattempo, cambio corpo. Sono grande adesso, fatta di sostanza maggiore sulla pancia, nelle braccia, sulle guance. Non che sia mai stata vuota, o esile. Ma ora sono dura come un tamburo. Risuono e schiocco e tu dentro che ti muovi non riesci nemmeno a farmi male. Oscilli dentro come il pesce nella sua boule. Sembri parlare anche, ma non capisco cosa dici.

mercoledì 17 settembre 2008

abitacolo

così, ancora, anche se il sole si è raffreddato siamo fermi in attesa.
oppure ci muoviamo. io sono un'incubatrice fiera e impaurita, cammino a testa alta con la pancia a punta, fendendo l'aria. mia madre si è fatta un uccellino dolcissimo che non può distogliere il pensiero dalle gambe inflaccidite di papà.

aspettiamo. aspettiamo tutti. non ho un lavoro al momento, non ho da scrivere, sempre da leggere, ma preferisco camminare per sentire il sangue scorrere il corpo battere e volversi, andare.
di cinema, di letteratura voglio snetire parlare. dentro la testa incamero piccoli frammenti.
la doccia e l'acqua bollente, gli uccelli impazziti fuori.
la musica nell'abitacolo dell'auto.

domenica 14 settembre 2008

pioniera

cos è una storia? me lo domando sempre. per le diverse strutture che ho appreso, in fondo quasi sempre una e una sola, non dovrebbe essere complicato delinearne il perorso, lo sviluppo. men che mai attingendo alla realtà debordante di fatti e individui e sogni e paludi.
eppure ricollegare nella strettezza, ricondurre a un senso la bellezza dei fatti che accadono così, indipendenti e liberi come pesci, sconnessi come fili di un albero di natale, appare sempre impossibile. avvicinandomi al momento della resa dei conti, tutto si annichilisce.
ma ricordo che c'entra qualcosa uno sforzo di volontà immane, che non so se riuscirò a fare à nouveau.
e poi. che storia raccontare? quale urgenza preme questa vita? infinite, sovrapposte come cartine attorno a una pralina prelibata.

risveglio. unità di risveglio.

queste parole troppo piene di attesa, aspettativa. noi non le possiamo capire così some sono. e non si può aspettare che noi le capiamo così come sono.

non ci sono molti cambiamenti. la pancia è scesa. il movimento è ormai riconoscibile. mi piace parlare con tecnici del campo, all'ostetrica chiederei mille cose. è un desiderio strano, non smanioso, di sapere cose sul mio corpo. non ho mai avuto l'ossessione in questo periodo, ma è lusingante, si dice lusingante?, avere qualcuno che sa come funziona, che anticipa le mie sensazioni, che mi indica le conseguenze.

è strano, ma vorrei che questo momento non finisse. mi piace essere arrivato a questo punto della sfida, meno di venti giorni.
mi sento una pioniera, mi sento poco prima di una grande impresa della quale voglio avere il bene e il male.

giovedì 4 settembre 2008

mamma orsa

c'è un albero verde, come soffiato a matita in mezzo a un campo sterminato di terra battuta. a fianco la foresta ancora vergine, forse già contaminata.
abbiamo visto birdwacthers ieri sera. messa in scena fredda che lascia trapelare l'idea del regista colto che cerca la giusta inquadratura, dietro l'obiettivo. buono il finale. credo nei suicidi mancati per volontà. ci credo fermamente, e non per una visione vitalistica o religiosa della vita. ma come fortuna del momento, determinazione dle momento.
ieri sera ho pianto. da tanti giorni non mi capitava. vedendo papà, carezzando il suo viso, guardando quei suoi occhi dolcissimi muti di un qualcosa di impossibile da capire, ho pianto. e avrei voluta essere stretta. ma so che non è giusto. avrei voluto essere stretta dall'umanità intera. ma siamo soli. sola mia madre, sola mia sorella. sola io eppure non sembra. sola nonostante un amore grande.
è tutto così reale, è tutto così immutabile, nonostante il mio voler desiderare infinitamente.
esprimo ancora, coem quando ero bambina, pensieri, seprando che la forza della mia mente possa qualcosa. cos'è questa ingannevolezza?
Perchè pensiamo di avere il diritto di agitare l'aria come sciamani? di correre con le mani nel vento, chiudere gli occhi e dire ti prego?

oggi ho pulito la cucina, preprato nuovi spazi vuoti da riempire. sto facendo mamma orsa, lo so. ma anche quasto sono io.

mercoledì 3 settembre 2008

aria

dei sogni ultimi. papà si sveglia ci aspetta con gli occhi aperti, anche se non so cosa dice, a me a ale a mamma. aspettiamo gio per fargli una sorpresa.
poi una situazione tipo strada via veneto-centro di londra, di ambasciate e finanza, un appartamento con dei giovani colti, un uomo maturo alla humbert humbert che legge un libro bellissimo, anche se non ricordo se di poesia, narrativa, canzoni. e cerca di sedurmi, mi seduce. ci sono dei cecchini in strada, ma non siamo in guerra, ci accovacciamo per terra, cerchiamo di stare immobili per correre nella casa, dove c'è qualcosa da decidere, credo.

quando penso a te, è il risucchio di un vuoto improvviso. mi manca l'aria di colpo.

è una bella giornata, calda. prepariamo le cose per tornare, per un poco. ho un mese di tempo. farò delle cose, tante cose. ma vorrei fare cose utili? giuste? certamente non moralmente, eticamente. intendo adeguate ala necessità. ma la necessità di cosa non lo so. è assurdo. tutti ti dicono cosa fare correttamente in questo tempo, ma nulla è legato a quello che in fndo andrebbe davvero fatto.

martedì 2 settembre 2008

non pensare

mi sto chiedendo se dio esiste. ma non con troppa convinzione. credo che nessuno intorno a me se lo domandi davvero. chi se lo domanda, si da già delle risposte, parziali magari, ma sempre risposte.
parlo con qualcuno ininterrottamente, ma non saprei dire di cosa si tratta. è che abbiamo una voce interna che non ha colore, suono, consistenza, ma è solo un appunto di viaggio, un promemoria scaramantico - almeno nel mio caso - che mi mette in pace con me stessa.
Pace. Nessuna pace in realtà, ma una dimenticanza sublime che mi permette di riposare, ed evitare per il momento di accanirmi su quello che è rimasto.
Tutto è stato distrutto, tutto è in pezzi, dice mia madre. e non riesco a immaginarlo. non riesco a sopportarlo. così prendo il ruolo di chi fa forza, di chi sostiene. ma per quanto potrò farlo? l'assenza la evito, il vuoto profondissimo, lo salto velocemente come una gazzella e corro sul prato verde di fronte, non girandomi mai. non voglio domandarmi "perchè proprio a me?". non voglio pensare a nessuna ragione perchè certe cose accadono. e in parte, in parte, sono ancora felice. questa vita mi da qualcosa che amo. egoisticamente, brutalmente, paradossalmente.
ma è così. e non mi sento in colpa. cerco di non pensare al mio senso di colpa.

lunedì 1 settembre 2008

lettera a chi deve arrivare

quando ti muovi non so che pensare. Penso che non ti conosco, non provo ancora molto per te. So che sei qualcosa di speciale, perché non è possibile che accada quello che deve accadere.
Per ora però ho delle strane idee, di cose da fare, da immaginare. Tutte sbagliate, come sempre, tutte lontane da quello che mi dirai guardandomi o toccandomi. E io non voglio finire con te, ho paura di quello che sarà di me con te. tanto quanto non vedo l'ora di sapere come sarà il tuo viso.
Vorrei cacciare via tutti gli schemi, buttarli al secchio. Vorrei non avere preconcetti, tornare bambina che fa i dispetti.
Non sono adulta, ma sarò mamma. Non sono libera, ma ci sto provando.
Tutta la gioia non la confesso, mi sembra banale, lo ammetto.
Credo che sia più semplice per me fingere di essere un gatto, rigirarmi nel sole, pensare solo al salto.
Forse il lancio nel vuoto è la mia specialità. Come un torpedine senza guardare troppo giù.
Spero davvero che mi aiuterai tu.

finché c'è il sole

Sono ancora in questo verde protetto e quasi gabbia. Respiro, cammino lentamente. Costruisco un immagine di me per te, mi procuro la serenità perdendomi tra le salite e discese di sanpietrini, di riflessioni sul bordo del muro scrostato.
Non ho molti pensieri per il futuro. Non cerco di averne in questo prossimo mese.
Due destabilizzazioni d'amore. Papà e tu che sarete in ospedale. Dopo tre giorni uscirai, probabilmente. Papà non so quanto ancora dovrà restarci.
Non so niente e non mi domando molto in realtà. Io monto come le maree, perciò sto aspettando il momento, caricando il vano sulla mia schiena, come un canguro al contrario, come la testa di uno scimpanzè.
Giovanni mi da una regolata. Il nostro amore è la mia vita e la mia culla infinita. Ma mi sferza nella mia tempesta e non lascia che mi addormenti. A volte mi assopisco.
Non so cosa voglio troppo specificatamente. Ci potrebbe essere quelcosa da scrivere presto, soprattutto ora, perché dopo mi dicono che ogni tre ore, che non avrò tempo.
Il mio pensiero è il tempo, il mio pensiero cresce e si snoda quando perdo tempo. E quando ne ho bisogno so crearlo, armonizzarlo sfruttarlo come un ettaro di terra fertile per i pomodori, che sempre rinascono ormai, fino ad autunno inoltrato finché c'è il sole.
La praticità della mia vita che desidero. Il sogno irreale della mia vita che vorrei.
Tutto c'è qua dentro.
Scrivere qualcosa, un libro, una sceneggiatura. Quello che c'è galleggia ma ha un porto? Una riva?

sabato 23 agosto 2008

senzasonno

così, mi sono svegliata alle 4e30 per un tè al limone. Pesantezza da donna incinta, rara per me. eppure anche con il mio stomaco di ferro, ieri sera la cipolla forse nella pasta, troppi rigatoni e dolce con l'uovo. Il freddo umido che non sentivo. Il video di papà al televisore al plasma che cercavo di ignorare con un sorriso. Di guardare segretamente con un sorriso. Di vedere papà senza sanguinare troppo, almeno per il momento. Tutta una contrazione. Ora sono le 7e 35 e andrò a dormire. C'è stato prima il chiarore del cielo azzurro, ora una luce da giorno, e gio dorme di là. chissà che accucciandomi tra lui e plinio non riesca a richiudere gli occhi.
pensavo di stare per partorire stanotte, tra la schiena, i piedi gonfi, non freddi stavolta, e lo stomaco.
poi ho inviato un raccontino. sarà anche qui tra qualche tempo.
scriverò ancora.
leggo ancora neve di pamuk e il mestiere di vivere e un libro della plasmon.
la chitarra la suono con le unghie troppo non corte. sono felice e infelice.
buona notte, giorno

lunedì 4 febbraio 2008

4febbario2008

tutto ha bisogno di tempo. io che mi sento ancora una ragazzina che corre e salta sfrenata nei prati, parlando con l'aria e gli alberi. tu che sai bene cosa vuoi. tanti dubbi, senza nessuna certezza se non il piccolo mattoncino quotidiano del lavoro, il sogno nel cassetto ma non troppo, i sogni tanti a occhi aperti e i desideri, le manie e ossessioni del corpo e della mente.
poi un'onda decisa, come quella che mi prende sempre a un momento e mi spinge senza timori con la fiducia nella pelle, con l'abbandono al tempo della vita.
non ho paura di nulla, forse è incoscienza forse gioia di vivere. ansia di vivere, miss rossella.
così se scopri qualcosa è un novità, una novità che mi solletica, mi fa sorridere e un po' piangere, che mi spaventa e non mi ascia dormire, che mi fa temere di perdere qualcosa o di perdermi io, che mi fa immaginare, desiderare già il contatto, ma questo è il bello.
io non ho paura, tutto può prendere il sopravvento su di me, ma io resterò cosciente.
tutto può cambiare dentro e fuori di me, ma potrò sempre pensare.
e pensare a te, piccolo universo in corsa, mi aiuterai a essere di più me stessa, a ricordarmi la terra e il sangue, il cielo e il mare.
nel frattempo penso al gioco di tutti i giorni, al segreto da confessare, alla mia vita.
quali scelte avrei potuto fare, quali ho fatto davvero.
alla fine della notte c'è il giorno e poi la notte nuovamente, non mi preoccupa. c'è talmente forza intorno a me, paure e errori, risate e pensieri puri o semplici, c'è tutto, c'è l'animale, c'è la parola su carta.
quello che vorrei è sapere cosa vorrei, ma comunque non mi serve davvero.
voglio vivere selvaggiamente, amare, rispettare, non sopportare, sognare.
anche con te

mercoledì 9 gennaio 2008

don't give up

polpo giù dal cielo
bluastronero
da questa stanza esce un'altra
da questa stanza prigione calda
le dita sanno cosa indicare
le dita sanno confezionare
chi cerca trova e i cocci sono suio
ma noi povera gente che stiamo qua senza niente
mancava il profilo nella scena del delitto e il rigagnolo di inchiostro
sulla fine di questa pagina
morta

lunedì 7 gennaio 2008

eternauta

non so cosa sia l’eternità
io mi infilo sotto un dito d’acqua e credo di essere la prima
invece a parlare è sempre qualcuno senza voce, o in asincrono,
il fantoccio bruno sul sedile del bus che guarda un poco la signora, il signore, il bambino, il migliore.
c’è già la neve dentro il tetto biancoguardare il soffitto non è mai stato arduo
ma solo il cielo ricorda davvero è paglia viola e html dentro la fila di macchine belle
quando cammino e inciampo su terra odore di mele, cacao, fili di guerra.
Aleppo è la città più dolce mandorle liquide occhi di donna
tu siedi al banco del fuoco, hai tanti anni e vivi di pacchi di carta, spago e sonagli.
fra pochi istanti si chiude la trasmissione cerco uno schermo bianco
pura visione

esprit de

en vacance de l’esprit

giorni a pendolo oscillano nella campana di cartetra le mani lingue ingenue
sacchi aperti e rivoltati in tasche
e scivola un dolce martirio come il ciondolo di un orecchino
male sento che vira in bene come un cavallo si scuote per bere la porta si apre nel luminosolembo di fracasso entrato nel grembo
lineulum lo pieghi in quattro parti schiacci noci e parli da gigante ma nulla scuce l’orlo di questa vita come questa parola
infinita

bruciata

Bruciata

Quando hai detto
Ti tengo
Il piede sopra il picco maggiore e primo
E quello minore dopoMentre il filo scheggiato del cardo mi entra nel palmo
Tra scarpa e piede.
Quando hai detto
Ti tengo
La vita d’uccello
D’alta quota restava impigliata tra roccia e roccia
Sbattendo l’ala di un’eco breve e gaia.
Quando hai detto
Ti tengo
L’anima floscia galleggia sul mio petto
Mi punge d’argento e gonfia di dolorose spighe
E sbatto gambe indietreggiando nel vuoto e sbatto braccia
Vissute di nuovo.
Ferisco le mani sul destino del mondo, la pietra è un osso
Di gomma e bosco.
L’acqua mi cola come sangue sbagliato, come
Morte inattiva, come fiato pallido.
Dall’altra riva mi guardi e il gesto è di presa
Con la mano arpionata al vento e la maschera che trema.
Il respiro è una voce che non conosco
Corrispondente al contrarsi del cuore di uovo.
Saette tagliano la densità del corpo si sbriciolano in piani inesistenti
E mi tuffo di nuovo.Il buio lo accendo di movimento interno, oscillamento
Ridiventa tormento.
Assorda il silenzio piombato di nulla,il respiro pulsante s’inceppa, s’incurva.
Non so chi sono, dove sto andando,mi sento nemico costretto al tuo ballo.
Ma poi c’è una luce dal corpo che arriva.
Non sei un fondale ma quasi una riva.
Il resto del mondo mi passa vicino, la vita, la morte è un
Ricordo vicino.

mammelle

ho una chitarra, ho cominciato a studiare.
so leggere, rileggere, fare, rifare, ma non so se basta. ho chiesto e deciso di provare a ricominciare a imparare qualcosa. la musica, non ne capirò mai niente, ma vorrei provare almeno a capire le note sul pentagramma e magari toccare una corda con un piccolo senso.
questo mi diverte, questo mi piace. facio cose che mi piacciono ancora.
provo a fotografare ma la telecamera è ancora ferma avvolta da ragnatele mentali.
il resto cresce vedo con più calore, tutto acquista una luce migliore.

oggi ricomincio con questo lavoro he ho. devo fare e far bene, ma sono fortunata. paradossalmente fortunella, e stamattina ho lasciato una casa silenziosa e fiocchi di dolcezza sul pavimento.
vorrei scrivere una storia e cosa aspetto?